domenica 30 dicembre 2012

Riflessi nel tempo


"Si scivola"
foto di Francesca Perlini"



le disse - almeno fai la moglie -
tacendo la madre che non era stata.
cade la prima neve
riflette nero il ghiaccio sull'asfalto.


sabato 22 dicembre 2012

Terra canta cantata





"Opi cantata"
foto di Francesca Perlini



la terra canta se cantata. i luoghi lo sanno.
Opi è ancora un luogo. 
ricordo i canti di notte con le luci spente e i fuochi accesi nelle piazze. 
sedie sedute da donne e dal parroco, 
tirate fuori dalle case e messe in cerchio intorno alle braci, 
che nulla si spreca, neanche un fuoco che si va spegnendo.






lunedì 17 dicembre 2012

Il cuscino di piume


"La camera da letto" di Van Gogh


scrivevo tempo addietro del mio cuscino di lana, sottrattomi da bambina per farne tela da strofinaccio con la federa. 
da allora, all'incirca trentacinque anni, non mi asciugo mai le mani. sarebbe come servirmi del frutto di un furto, oltraggiare i pianti muti e sconcertati di quella bambina che non trovò più il buchino per riposare i suoi sonni. 
credo sia nata in quel tempo un'insicurezza più ampia, l'impotenza di proteggere il proprio nido che da adulta sarebbe diventata la mancanza di una casa a cui far ritorno.
per un attaccamento ossessivo di fatto non mi separo mai dal mio cuscino di piume anche se le poche rimaste dentro la federa lo fanno somigliare più a quelli piatti da sedia. 
ma non importa, è il mio passpartout per il viaggio. 
lo adagio ovunque mi trovi ed è la mia casa, come se ne costruissi le fondamenta per una notte. la certezza che quel sonno sarà possibile farlo è tutta nell'impronta lasciata dalla mia testa da tutte le notti che è tornata lì. casa.

domenica 16 dicembre 2012

Della bellezza la memoria


"memorie"
foto di Francesca Perlini



m'è presa una frenesia in questi ultimi anni: di conoscere raccogliendo le memorie degli ultimi vecchi rimasti, quelli capaci di una saggezza di cui non c'è traccia nelle generazioni venute dopo. li trovo nascosti come la bellezza in fondo a certi vicoli di paese. 
solo volendo li s'incontra. è la mancanza che mi guida. 
un'assenza che si fa strada.



giovedì 29 novembre 2012

Il cielo sopra le nuvole




"Ovunque"
foto di Francesca Perlini



il cielo sopra le nuvole è 
come immaginavo il paradiso da bambina.
ero piccola, 

ma avevo colto il senso dello stupore.


giovedì 22 novembre 2012

Lanzarote



Montana Blanca-Lanzarote
foto di Francesca Perlini


Sfuggo alla svendita della terra, ai vicoli, che qui si chiamano calle, nati tra bianchi residence tutti uguali, ai turismi che come tutti gli –ismi finiscono per rendere estremi e lontani i gesti del vivere. Esco da Puerto del Carmen risalendo la strada LZ 505. Tias è a pochi chilometri, bianca anch’essa e quel biancore ripetuto confonde il mio ignorare che l’abitare quest’isola lavica e ventosa è un contrapporre, un generare opposti netti, bianco al nero, basso e a tratti interrato al vento.  La geografia dei turismi ha preso gli stessi opposti, bianco e basso, cospargendoli ovunque come solo lei è capace. A Tias tornerò in seguito, per una casa.
LZ 35, San Bartolomè è al capo opposto di Tias, strade costruite senza bordi, senza pause, strade che creano destinazioni a termine.  Non trova soste il mio cercare, se non nei paesi che ordini superiori, volontà al di sopra del singolo, hanno deciso essere obiettivo. Come fermare la velocità del correre? Come trasformare in passi il percorrere? Costruire strade su colate laviche dev’essere difficile, non ne conosco il fare, ma ciò non basta a spiegare questa rete nera e fluida che giunge solo a destinazione.
Dovrebbe rassicurarmi una traiettoria segnata, ne cerco solo la deviazione per rallentare e trovare una lentezza che solo il camminare o il sedermi può dare. Montana Blanca è indicata a sinistra uscendo da una rotatoria con una delle juguete del viento, sculture- giocattolo del vento, di Cesar Manrique. 
   

    (continua)

giovedì 15 novembre 2012

Poco prima



Teguise (Lanzarote) - Iglesia de Nuestra Senora de Guadalupe
foto di francescaperlini


poco prima della fine la conosci la morte.
nessuno ti ha detto come incontrarla 
come salutarla e lasciarsi accompagnare 
per un poco di strada insieme. 
perché un poco di strada -oh sì-
la si percorre insieme
come un sentiero che si allunga nel bosco. 
siamo sfocati 
come la via che abbiamo perso sin dall'inizio, 
perché nessuno ci ha detto 
che la fine di ogni cosa dà loro senso,
anche al nome che portiamo.
perché iniziare a correre 
se ogni destinazione ne segna la fine? 
paesaggi 
come quelli visti dal finestrino di un treno. 
è la velocità che spaventa. chi ce lo ha detto?
c'è una carezza nell'addolcire il passo 
che stende la sua mano sulle ferite. 
è quello il momento in cui la pena si fa morbidezza 
e la paura - sì la paura - perde la forza 
di farci sentire nati orfani.
alla fine, poco prima, la fine è nostra madre. 
delicata. 




martedì 30 ottobre 2012

Lampioni



foto di Francesca Perlini



pioggia fine, d'ottobre.
selciati bagnati di giallo,
fino all'alba.


martedì 23 ottobre 2012

Di sentimenti e luoghi


foto di Francesca Perlini


Sto leggendo Rumiz e i suoi Monti naviganti.
Mi vien voglia di abitare in quasi tutti i luoghi che descrive e conoscere le persone che incontra, come una sete che non trova fontanelle.
Poi ripenso al vecchio sulla sedia a rotelle, parcheggiato nel cono di luce della controra in mezzo alla strada ad Avacelli, e la mia inquietudine si placa.



mercoledì 17 ottobre 2012

Prospettive


foto di Francesca Perlini



l'ombra esisterà pure perchè c'è luce, 
ma la luce crea le sue ombre.


giovedì 11 ottobre 2012

5, "Hsu" l'attesa



"un diluvio arriva sempre"
foto di Francesca Perlini


5, il numero che mi accompagna e perseguita da una vita. 
All'asilo era l'appendino del mio zainetto, il quinto a partire dalla porta d'ingresso, porta, ricordo ancora, da cui volevo scappare e che non volevo varcare. Il tempo tra i due varchi era un'attesa.
Ne "I Ching" il numero 5 è l'esegramma dell'attesa, come nuvole in cielo, presagio di qualcosa che arriva, dove la caduta è svelamento del significato.
Il giorno in cui trovai il mio appendino occupato da un altro zainetto sperai che quel calvario fosse giunto alla fine e che la strada davanti casa diventasse a pieno titolo l'asilo dei miei giochi liberi, con la campagna alla fine del vicolo per casa, la più accogliente e sicura che avessi mai avuto. La bidella, col suo odore di pastasciutta addosso, mi portò in cucina, dove sollevandomi fino alla pentola rossa di sugo, mi disse che da quel giorno ci avrei anche mangiato all'asilo e che quella era la pappa buona come non se ne mangiava da nessun'altra parte al mondo. Mi raccontò della storia di una bambina che usciva dal bosco all'odore del sugo rosso, per poi tornarvi con la pancia piena e felice.
Cosa risposi alla bidella che sapeva di pastasciutta? Il ricordo s'infrange come l'attesa di riavere il mio appendino, uno sparuto senso di appartenenza.
Sarà per questo che da allora il 5 è diventato l'attesa che quelle nuvole siano diluvio sul bisogno di casa.


martedì 2 ottobre 2012

Si tinse di giallo



foto di Francesca Perlini


Erano le sette di sera e settembre si avvicinava all’autunno ancora poco caduto a terra.
Ai bordi il giallo increspava le foglie staccate dalla brezza del mattino, ammucchiate sparute contro il muro nero della baita sull’altopiano. 
Non era bastato il vento a ricoprire quel corpo lasciato spoglio dalla fretta di fuggire. 


lunedì 24 settembre 2012

Ombre di settembre



foto di Francesca Perlini


Quando si era ragazzi, la prima pioggia di settembre pareva autunno e lo scoramento della fine dei giochi estivi dava inizio ad un nuovo anno di libri e quaderni. Era un passaggio, ma per noi, col senso dell'infinito ancora addosso ogni cosa era per sempre, come la vita.
Col pensiero corto, il momento aveva ponti in cui trasformarsi in qualcos'altro per giungere ai bordi di mondi sconosciuti. Ci pensavamo noi?
L'assoluto come l'eternità non avevano pensieri, l'angoscia aveva forse casa nella sveglia all'alba, che già si scioglieva calda e inzuppata tra i biscotti nel caffelatte. 
Invecchiare non è forse come le ombre di settembre che s'allungano a sfiorare anche la morte?


giovedì 20 settembre 2012

lunedì 17 settembre 2012

Insoliti bouquets



"insoliti bouquets"
foto di Francesca Perlini



Delle camelie il biancore, a ciuffi verde il salice del bouquet. 
Gli occhi in basso calzano a destra la bianca scarpa che non ho perso, 
correndo lontano dal giorno del tuo no.


giovedì 13 settembre 2012

Paesi allo sguardo


"paesi allo sguardo"
foto di Francesca Perlini


paesi
dove l'unica distrazione
è guardarsi allo specchio.
dopo paesi c'è una virgola
l'unica indicazione possibile.


martedì 11 settembre 2012

Dentro



foto di Francesca Perlini


La tenda lasciata aperta a metà era la finestra sull'angolo di mondo dal letto su cui era immobile dal giorno dell'incidente. 
Lo sguardo dentro era la sua porta aperta sulla vita rimasta, dove i limiti sporgevano i suoi occhi verso l'infinito.


domenica 9 settembre 2012

Dall'orlo e qualche vuoto



foto di Francesca Perlini


tutti, ma proprio tutti luoghi da lasciare, quanto le persone con cui li ho creati. 
soprattutto quelli in cui ho stentato e trattenuto l'impossibile.
c'è più di un mondo lontano da qui. 
non è più il tempo dell'approdo, della sponda e del sicuro.
quel mucchiettino di frammenti sanno cosa sono, sanno del vuoto e dello spazio, della distanza e dei contorni, delle vertigini e del volo.
non è più il tempo dell'indugio, dell'atteso l'attesa, di rimandare. 
dall'orlo parto.


giovedì 6 settembre 2012

In sposo


foto online
di  Yasushi Tanikado


l'umido freddo si fa ossa
prendo in sposo un ciliegio in fiore
in sogno.
dei gatti nemmeno l'ombra
del resto è un sogno
e della firma dei testimoni
nessuno sentirebbe il sigillo.
è al lago poi
il gran ballo con le onde
a cerchi attorno
come una festa di paese
dove tutti son convenuti
senza essere invitati.
a che serve l'invito? 
è solo un sogno.


martedì 4 settembre 2012

Le vie del ritorno



notturno
foto di Francesca Perlini


Le vie del ritorno poco hanno a che fare con l'andata.
Dalla prospettiva che è opposta allo sguardo sulle cose che forse è mutato grazie o a causa di ciò che è accaduto nel tempo dei due viaggi. La terra di mezzo, il passaggio tra due momenti, l'andata e il ritorno, la sostanza del viaggiare.
Ulisse si è legato al palo per non perdere la direzione, che sirene ammaliatrici avrebbero potuto distoglierlo da ciò che per lui era l'approdo del ritorno, la terra promessa della sua sposa. 
Ma quante volte perdere la meta e perdersi è l'unica via per ritrovarsi?
La strada non è la stessa, il ricordo e la memoria hanno coordinate in cui il tempo e lo spazio da lineari, da cartine geografiche si trasformano in mappe, orizzonti e umano sentire. Il tempo del reale, lo spazio del luogo in cui l'insieme dei momenti è sempre quello che si sta vivendo.
Non potrei dire quando son partita, non c'è un momento in cui la storia è iniziata perché non è mai finita. Gli incontri passati si mescolano nel modo in cui vivo quello attuale, è tutta la storia che posso narrare. 
Nel tuo nome, amore, c'è tutto l'universo e l'impossibile in cui credo. 
Potremmo mai dividerci, sotto le stelline sbiancate nella notte nera in cui vedemmo tutto il passato e il futuro nell'eterno presente del nostro primo bacio?


giovedì 23 agosto 2012

Viaggio nell'inghiottitoio

Valle Filatoppa-Opi dei Marsi
foto di Francesca Perlini




Ad Assergi capisco che c’è qualcosa che non va. L’A24 l’ho appena lasciata e dalle informazioni che ricevo, più per parlare con qualcuno che spinta da dubbi sul tragitto ancora da compiere, Opi non lo conosce nessuno, eppure è un paese della loro stessa regione. Siamo tutti in Abruzzo, paese compreso, che dovrebbe trovarsi a non più di trenta chilometri. Non lo so ancora che sta per cominciare un viaggio nell’inghiottitoio delle indicazioni. Che la comunicazione fosse un ponte tutto da costruire lo sapevo, ma che esistessero due Opi nella stessa provincia de L’Aquila no. Tre gittate. Il proiettile è stato sparato. Il cacciatore non corre dopo aver sparato, è il cane che va a scovare l’animale ucciso.
Non ho un cane. Ho una destinazione ed un’auto. Le indicazioni hanno colpito Assergi, Paganica, Sant’Elia, Onna, L’Aquila ovest la prima volta, San Demetrio la prima volta, L’Aquila ovest la seconda volta, San Demetrio la seconda volta, San Pio, Prata d’Ansidonia, San Gregorio la prima volta, Fontecchio, Fagnano Alto, Termine, Ripa e il primo Opi.
L’inghiottitoio del terremoto. L’inghiottitoio delle indicazioni. Le indicazioni per  strade che s’interrompono non indicate. Le persone a cui ho chiesto aiuto si son prodigate in grandi spiegazioni. Generosi, larghi di parola e di tempo, arresi e armati d’ingegno per supplire alla confusione impazzita di chi ha avuto fretta di costruire “complessi residenziali” spostando il centro dei paesi al centro del nulla, centro perfetto della manipolazione politica. La statale 17 è brulicante di traffico. Case crollate e case nuove, capannoni e centri commerciali, negozi prefabbricati e bar. Mi è sembrata la spina dorsale di un corpo frantumato che ha perso qualche organo vitale, con mani e piedi spariti chissà dove.
Solo quando arrivo al primo Opi capisco che non è il mio Opi. Se un senso ce l’ha questo mio girovagare schizofrenico è di aver intravisto che vivere in una terra devastata dal terremoto prima e dall’azione incosciente politica poi, è una realtà così complessa che non la si può comprendere in poco tempo e forse per un po’ non ci si capisce più nulla tutti quanti. Vorrei rimanere ancora, ma ad ogni casa crollata ne sento il frastuono, lo sgomento e l’aria diventa polvere, ho uno sbandamento. Il dolore mi prende come un tremore nel corpo. Non ce la faccio. E’ troppo, forse son vigliacca. Ma il pudore che sento negli occhi ha la delicatezza di non indugiare oltre, in una comunità che mi par di violare anche solo a sfiorarla. Cerco la mia Opi.
Alla prima Opi, desolata, arsa da un caldo rovente della controra, trovo la soluzione. Opi dei Marsi è il nome del paese che voglio raggiungere.
Riprendo il viaggio e torno nell’inghiottitoio: Caporciano, statale 17, San Pio delle Camere, Barisciano, Poggio Picenze, San Gregorio la seconda volta, L’Aquila e imbocco la A24 direzione Roma. Altre indicazioni ed errori, fino all’imbocco della A25 direzione Pescara, uscita Celano.  Ma per chi si trovasse a ripetere questo viaggio, è meglio uscire a Pescina e seguire le indicazioni per Pescasseroli. A questo punto è doveroso da parte mia.
Ho fatto cerchi, buchi nell’aria, ma Onna, Paganica, San Gregorio e alcuni squarci de L’Aquila viaggiano con me.
Ora so che la strada è giusta. Dovevo entrarci nell’inghiottitoio. Non credo di esserne uscita. Opi dei Marsi ha un fratello solo.

mercoledì 15 agosto 2012

Incipit


foto di Francesca Perlini


nel rito solitario, soglia del silenzio, la porta assemblata con assi malmesse, era aperta. non ebbi paura a varcarla, non c'era nessuno. erano le presenze a lasciarmi inquieta, non il vuoto, non l'assenza. erano spazi che preferivo lasciare vergini.
è vergine il vuoto?
di macchie sul pavimento ce n'erano quanto un labirinto da cui nessuno era più uscito. i piatti erano ancora sulla scrivania, tavola durante i pasti. indizi, se avessi voluto indovinare chi vi avesse abitato, nella casa nel bosco. oggetti, cose, nella vivida evidenza che avevo trovato casa.
portai al lago, lungo la passerella, a cui alla fine del braccio penzolava una corda, i piatti per lavarli. in casa non c'era acqua.
alla corda, non più annodata, una barca aveva dovuto portare al largo i pensieri di chi aveva remato in un'acqua calma e profonda come il buio della morte. vedevo la scia dei pianti, mescolati e dispersi, nei cerchi dei remi al tuffarsi nel lago. doveva averla amata. molto. la superficie era spaccata. i frammenti sparsi, schizzati fin dentro il bosco tutto attorno. era morta, di questo ne ero certa. come?
se non cercavo indizi, perchè continuavo a vederne?
lasciai a bagno, sulla sponda incastrati fra i sassi, i piatti. le croste erano così attaccate che sembravano cozze sugli scogli. ne comprerò di nuovi, quando scenderò al paese. non è bello mangiare sui resti degli altri.
alla stufa di ghisa in cucina mancava il tubo ed il camino in sala non sembrava godere di miglior vita. in paese, passando senza nessuna convinzione di fermarmi, avevo visto una bottega. ora non ricordavo quali fossero gli arnesi appoggiati al muro. in una bottega non c'è sempre un vecchio solo e malandato, che parla poco, scorbutico e che sa aggiustare ogni cosa rotta? il nuovo non è contemplato in chi ha riattaccato, un numero infinito di volte, i pezzi della propria vita, andandoli a cercare in altre botteghe, quando i propri non sono più buoni all'uso.  
dov'è il bagno? temo sia quel gran paziente del bosco.
dalla cucina si usciva sul retro della casa, da una porta a vetri. il grigio che entrava, una volta lavati, avrebbe fatto entrare gli umori del bosco. buon posto e luce giusta per scrivere. presi appunti.
delle tre sedie vicino al camino, solo una aveva tutte e quattro le gambe, delle altre due ne avrei fatta una, contando i pezzi mancanti. due sedie. me ne basta una. le altre le brucerò in autunno.
non mi accorsi subito che in sala c'era una porta. il bagno! eppure era sulla verticale della porta d'ingresso. come avevo potuto non vederla subito, entrando?
dovetti aprirla a spallate. sembrava avesse tutto il peso del mondo contro. la porta o io?
i cardini erano arrugginiti e quando riuscii ad aprirla quel tanto per passarci, vidi che era un grosso baule di legno ricoperto di tela, l'ostacolo all'apertura. non poteva essere il bagno. buio. pesto.
tornai in sala, nello zaino avevo l'accendino e le sigarette. ne accesi una prima di portare un poco di luce nella stanza di cui avevo perso interesse. tanto non era il bagno.
uscii e mi sedetti sugli scalini della veranda. la seconda sedia la metterò in veranda. magari la brucio questo inverno. dal fondovalle non arrivavano rumori. ogni suono che fosse stato di natura umana, mio compreso, era stato l'ultimo dei motivi a spingermi fin quassù, di una lista in cui le relazioni erano il principio.
pianterò delle ortensie. il resto del giardino sarà spontaneo. lascerò un passaggio per arrivare alla casa. pianterò solo ortensie. l'orto sarà sul retro. vicino alla cucina. 
il bagno. se non c'è, lo costruirò. il pensiero mi tranquillizzò e tornai alla porta in sala. ero di nuovo curiosa. per essere curiosi bisogna avere il cuore leggero, sgombro da ansie. soprattutto da mancanza da bagno.
la breve luce dell'accendino arrivò appena in tempo a posarsi su di un alto letto matrimoniale. lasciai la presa, il pollice bruciava e l'accendino cadde di nuovo nel buio. l'apparizione di lenzuola lasciate come se qualcuno si fosse appena alzato un'epoca fa, di soprassalto, scoprendosi solo, in un incubo che il sonno aveva cancellato, mi si conficcò nella gola e nello stomaco. uno sgomento feroce. lasciai di nuovo la stanza. per la seconda volta con la voglia di uscire fuori, alla luce, lontana da lì. 
cos'era successo in quel letto?


mercoledì 8 agosto 2012

Il parlamento in piazza



foto di Francesca Perlini


S'istituiva in piazza il parlamento del paese.
Ai quattro lati della fontana,
zampillanti gocce 
come lapislazzuli ignari del convivio, 
sedevano i vedovi di lungo corso
i ben pensanti
gli oratori della discordia 
e i disoccupati.
Di passaggio gli stranieri,
residenti con orizzonti diversi,
seguivano rotte
rese incomprensibili
dalla bussola rotta
del quieto vivere.

sabato 28 luglio 2012

Quelli dell'aperitivo


foto on line


Una colonna sonora ci vuole, altrimenti che situazione è?
Buddha Bar è arrivato al tredicesimo album più tutte le compilation nate dal suo successo e a decretarlo è stato per buona parte quel momento che per bisogno di stile ha quasi cancellato l’andare a cena fuori, l’aperitivo. Per anni è stata la colonna sonora dell’appuntamento al bancone del bar, stipato ed esibito come i banchi del pesce al mercato. Ma ad esibirsi non sono solo quelli che un tempo al bar sotto casa erano pistacchi e patatine stantie in ciotoline di plastica, ma una lussuria di scodelle, scodelline, vassoi, vassoietti, alzate come grattacieli di finger food con variopinte mescolanze d’ingredienti improbabilmente insieme. Le parole sono esibite anch’esse, perché cibo che si prende e mangia con le mani non fa appuntamento, fa sfigati.
Ragazze sopra tacchi alti davanti per vertigini posteriori fanno da contraltare al bancone dove in effetti se non si è alti almeno un metro e ottanta l’oliva esotica in cima alla vetta di cibo scrosciante non s’arriva nemmeno a vederla, figurarsi ad infilzarla.
A cosa serve telefonarsi per darsi appuntamento?
Facebook ha i sui gruppi, metti un “mi piace” e sei della lista Qui Quo Qua, che l’amministratore delegato dell’ultimo locale inaugurato un quarto d’ora dopo il penultimo, ha creato per invitare cinquemila amici sparsi in tutto il mondo.  Iscriversi è uno status, accalcarsi è il pass per sentirsi qualcuno.
Lungo lo stesso viale o lungomare o lungofiume dove si trovano la maggior parte dei luoghi da circostanza all’ora dell’aperitivo – ma che ora è l’ora dell’aperitivo?- l’umanità la si capisce dalla testa e dai piedi, gli estremi sono le uniche cose che ti fanno vedere nella calca, scarpe e capelli.
Quello che ci sta in mezzo è un corpo. Toh! Un corpo.  Che ci sia una persona dentro? Un’anima sarebbe pensare per metafore.  Allora finisci per toglierti di dosso il grasso da sotto le unghie e la polvere dalle orecchie per cancellare ogni traccia di chi sei. Il lavoro nobilita solo se non si vede. La security sceglie i migliori. La security fa selezione. Chi sta fuori e chi entra. E se il nero nelle pieghe delle mani non viene via, indosserai qualcosa che abbia tasche per la vergogna.
Come si arriva all’appuntamento?
Il computer lo hai acceso appena hai messo piede in casa, tua madre mentre gira il sugo della pasticciata urla che tuo padre fa tardi anche stasera e tuo fratello ha rotto la play station mentre tua sorella ha comprato la maglia del Napoli perché il suo nuovo fidanzato vive stabilmente in curva e tu che di curve hai fatto le solite tre, casa-fabbrica-casa  stai per fare la quarta, aperitivo. Verde, giallo, rosso e verde, dal blu al celeste passando per una ciliegia che magicamente galleggia a metà bicchiere, gli ombrellini non vanno più di moda, forse perché non piove più come una volta, un giro di zucchero del Brasile sull’orlo e nessuno spazio libero in cui appoggiare le labbra per bere qualche colore. Un bicchiere d’acqua si può avere?
Che gusto ha il colore?
Per gustare c’è da sedersi su una sedia sufficentemente comoda intorno ad un tavolino sufficentemente grande per appoggiare più che per tenere in mano il bicchiere, in compagnia di quattro amici, quelli conosciuti all’asilo col grembiule rosa o celeste. Ci dev’essere il giusto spazio tra le persone e questo significa che non c’è ressa e la musica…ah la musica. Il volume può stare a zero.
No. Si sta in piedi. Si conosce tutti ma la scatola dell’antidepressivo la nascondi nel cassetto delle mutande. E il bicchiere è rigorosamente in mano perché la coscienza ha smesso da troppo tempo di chiamarti e s’è andata a stendere nell’unico posto dove non penserai mai di andare a guardare, nel tuo letto. Ci tornerai a letto, quando all’alba –ma non era un aperitivo? Ma che ora è quella dell’aperitivo? – della lista Qui Quo Qua non ti ricorderai nemmeno una faccia, forse la marca dell’orologio quando hai chiesto che ora fosse a qualcuno. Qualcuno? Qualcuna? “E’ uguale al mio” hai pensato non riuscendo a sentire la risposta per il frastuono che la copriva.
Se è un aperitivo a fare di un uomo, un uomo e di una donna, una donna, io voglio essere un’anguria.

martedì 24 luglio 2012

Attorno

foto di Francesca Perlini


odo strusciare il filo
che lega il cielo con le stelle
e le nuvole che compariranno.

mercoledì 27 giugno 2012

Grazie

Mi avete sommersa di auguri, pensieri, disegni, torte, suggestioni, affettuosità, sorprese, incoraggianti parole, foto di case come desidero, strette dolci di mano, telefonate, supporti e delizie. E un invito così inatteso da struggermi di bellezza e commozione. Vi sono così grata. E in tanta abbondanza, uno spazio che rimane sempre vuoto, taciuto, in cui lo strazio si rinnova ogni giorno. Ma grazie. Grazie a queste assenze, perchè senza di loro non potrei mai rinascere, perchè nata anche per ricevere tanti bei cuori. Grazie a tutti.
Questo coro lo dedico ad ognuno di voi.







lunedì 25 giugno 2012

Mai gravide abbastanza


foto di Francesca Perlini


a quelle donne
rimaste figlie
pur avendo partorito.


alle figlie femmine
che non sanno - quale -
cordone strappare.



mercoledì 20 giugno 2012

La stanza di mattoni


foto di Wilson Santinelli
dalla mostra fotografica "Di volti e di ricordi"
Cerasa, 16-17 giugno 2012


“Non so dire dove inizino le facce che finiscono nelle cose, e dove finiscano le cose nelle facce. Di una vita insieme hai colto il sussurro.”
A caldo, e non solo per l’esperienza immediata ma anche per le temperature già bollenti a giugno, ho attaccato in una bacheca queste parole.
La bacheca stava in una piccola stanza a pian terreno di un vicolo di paese. Gli ingredienti di una storia ci sono tutti o quasi. Gli spettatori sarebbero arrivati di lì a poco per la mostra fotografica “Di volti e di ricordi” (16-17 giugno 2012) di Wilson Santinelli.
Di Wilson avevo già visto alcuni scatti nel 2011, in una mostra in un altro paese, Serrungarina, che voleva interrogarsi sui luoghi.
Una faccia è un luogo. Una geografia di storie.
Le facce sono mute. Forse la fotografia, oltre allo sguardo di chi ci guarda senza mezzi in mezzo, è il linguaggio che vien dato ai volti. Ad ognuno il suo. Di chi ci mette la faccia e di chi la fotografa. Di chi la guarda e ascolta un discorso.
Stare in una piccola stanza di mattoni, con la penombra al punto giusto, è stata la miglior accoglienza che potessi sperare per visitare una mostra. Amo le cose piccole, il mio senso di spaesamento ne viene mitigato. Mi rigiro in pochi passi e non mi perdo.
Le fotografie di facce me le sentivo intorno con nessun senso di voyerismo addosso. Ho avuto la sensazione di essere anche io una faccia appesa tra le altre. Appesa senza il peso della solita inquietudine che mi prende troppo spesso.
Le facce erano di vecchi del paese, Cerasa. Non credo stonasse la mia, che sto più o meno nel mezzo della vita, se fossi a metà del tutto. L’inquietudine rende vecchi e nuovi al tempo stesso,  cercatori di una continua ed inarrivabile oasi di pace. Non so se i vecchi posati sulle tele, sono invecchiati inquieti. So però che di alcuni ho invidiato il gesto. Il gesto di tenersi accanto al compagno di una vita, il gesto fragile e saggio, tenero e struggente di tenere fra le mani un oggetto che raccontasse a simbolo la loro esistenza.
Avrei voluto avere un tempo lungo e solitario per restare in quella stanza con tanta intensità di storie. Avrei voluto onorare quelle facce ascoltando un filo del discorso che ho tagliato troppo in fretta.
E’ stato come sedere in una panchina nella piazza di paese, a guardare chi passa e a intercettare voci che si avvicinano passandomi davanti, proseguendo ognuna verso un vicolo, una porta, un negozio.
Il senso di stare in un paese è anche questo, con una leggerezza che non è sempre facile, appesantita dalla troppa vicinanza che sfocia a volte in un’invadenza in cui anche i muri parlano.
Ecco, Wilson Santinelli ha avuto la fortuna di cogliere questa vita. Per fortuna non intendo nulla di casuale, ma ciò che avviene se ci si prende la briga di esserci, di prendere una posizione nella vita e di accoglierne quel che c’è.
Chissà come si son sentiti i vecchi che si son fatti fotografare. Ognuno era lì con una densità sobria e fragile.
Chissà cos’hanno provato a stringere fra le mani quell’oggetto che stavano mostrando.
La fotografia è un momento, è uno scatto. Quando chi fotografa non ha l’idea di chiudere tutto in un’istantanea, quel gesto parla di una storia, è solo un punto lungo il percorso della vita.
Wilson, non so se consapevole o meno, ha aperto qualcosa. Ha portato le storie al centro e queste hanno potuto dialogare fra loro e con chi ha avuto la grazia di ascoltarle nella piccola stanza di mattoni.

Il sito di Wilson:


martedì 12 giugno 2012

Concepimento



"Monte Nerone" foto di Francesca Perlini


oggi posso perdonarmi
per non essermi amata
nella mia venuta,
per essere nata.


mi perdono.
mi do in dono 
l'amore per farlo.


concepisco.
dò alla luce
me stessa.


è per questo
che son venuta.
lentamente
torno a casa. 





venerdì 1 giugno 2012

Un pò altrove



Chiaserna, foto di Francesca Perlini



vorrei incontrare, a volte, storie importanti. 
ma non faccio che notare giusto quelle che non importano a nessuno. 
una vecchia pompa di benzina dismessa; un acero come vaso di fiori sul portone di casa che arriva al secondo piano; due gatti sul greto del torrente; una panchina comoda in una bella piazza; gli estathè nella fontana ed i cestini nuovi e vuoti; il mormorio di un venerdì mattina dietro le mura della chiesa; le facce veloci di donne con la spesa in mano. 
poi torno a casa, col sentore di averne vissuta un pò anche altrove.



mercoledì 30 maggio 2012

Più delle parole

Emilia Romagna
Italia
Europa
Terra,
all'indirizzo non c'è più nessuno.


foto da Repubblica on line 30 5 2012


mercoledì 23 maggio 2012

Di nuvole



foto di Francesca Perlini




se tu potessi guardare
lassù, da qui
ogni nuvola sospinta
dal cielo a metà,
del sole dietro
che mai saprà
del sudore mio
stinto rosa desiderio
di vedere prima di restare
ciò che è rimasto
appoggiato
sul comodino delle memorie.
se tu potessi vedere
come guardo ogni nuvola
quaggiù
qualcosa che non scende mai.



giovedì 17 maggio 2012

Tempismi







spira forte il vento
freddo
per un giorno di maggio.
scendo alla stazione dell'acqua
ne prenderò quarantacinque centesimi,
son caldi nelle tasche
loro.
una moneta,
fresca frizzante di gravità 
cade 
nella prima bottiglia.
la seconda,
nel cesto c'è 
già pieno e vuoto.
la terza,
tanto pieno tanto vuoto.
la quarta,
ho quasi finito.
la quinta,
si riempie a metà.
che tempo è
quello che trasforma 
monete in acqua,
la mia attesa
in un tempo perso?