giovedì 23 agosto 2012

Viaggio nell'inghiottitoio

Valle Filatoppa-Opi dei Marsi
foto di Francesca Perlini




Ad Assergi capisco che c’è qualcosa che non va. L’A24 l’ho appena lasciata e dalle informazioni che ricevo, più per parlare con qualcuno che spinta da dubbi sul tragitto ancora da compiere, Opi non lo conosce nessuno, eppure è un paese della loro stessa regione. Siamo tutti in Abruzzo, paese compreso, che dovrebbe trovarsi a non più di trenta chilometri. Non lo so ancora che sta per cominciare un viaggio nell’inghiottitoio delle indicazioni. Che la comunicazione fosse un ponte tutto da costruire lo sapevo, ma che esistessero due Opi nella stessa provincia de L’Aquila no. Tre gittate. Il proiettile è stato sparato. Il cacciatore non corre dopo aver sparato, è il cane che va a scovare l’animale ucciso.
Non ho un cane. Ho una destinazione ed un’auto. Le indicazioni hanno colpito Assergi, Paganica, Sant’Elia, Onna, L’Aquila ovest la prima volta, San Demetrio la prima volta, L’Aquila ovest la seconda volta, San Demetrio la seconda volta, San Pio, Prata d’Ansidonia, San Gregorio la prima volta, Fontecchio, Fagnano Alto, Termine, Ripa e il primo Opi.
L’inghiottitoio del terremoto. L’inghiottitoio delle indicazioni. Le indicazioni per  strade che s’interrompono non indicate. Le persone a cui ho chiesto aiuto si son prodigate in grandi spiegazioni. Generosi, larghi di parola e di tempo, arresi e armati d’ingegno per supplire alla confusione impazzita di chi ha avuto fretta di costruire “complessi residenziali” spostando il centro dei paesi al centro del nulla, centro perfetto della manipolazione politica. La statale 17 è brulicante di traffico. Case crollate e case nuove, capannoni e centri commerciali, negozi prefabbricati e bar. Mi è sembrata la spina dorsale di un corpo frantumato che ha perso qualche organo vitale, con mani e piedi spariti chissà dove.
Solo quando arrivo al primo Opi capisco che non è il mio Opi. Se un senso ce l’ha questo mio girovagare schizofrenico è di aver intravisto che vivere in una terra devastata dal terremoto prima e dall’azione incosciente politica poi, è una realtà così complessa che non la si può comprendere in poco tempo e forse per un po’ non ci si capisce più nulla tutti quanti. Vorrei rimanere ancora, ma ad ogni casa crollata ne sento il frastuono, lo sgomento e l’aria diventa polvere, ho uno sbandamento. Il dolore mi prende come un tremore nel corpo. Non ce la faccio. E’ troppo, forse son vigliacca. Ma il pudore che sento negli occhi ha la delicatezza di non indugiare oltre, in una comunità che mi par di violare anche solo a sfiorarla. Cerco la mia Opi.
Alla prima Opi, desolata, arsa da un caldo rovente della controra, trovo la soluzione. Opi dei Marsi è il nome del paese che voglio raggiungere.
Riprendo il viaggio e torno nell’inghiottitoio: Caporciano, statale 17, San Pio delle Camere, Barisciano, Poggio Picenze, San Gregorio la seconda volta, L’Aquila e imbocco la A24 direzione Roma. Altre indicazioni ed errori, fino all’imbocco della A25 direzione Pescara, uscita Celano.  Ma per chi si trovasse a ripetere questo viaggio, è meglio uscire a Pescina e seguire le indicazioni per Pescasseroli. A questo punto è doveroso da parte mia.
Ho fatto cerchi, buchi nell’aria, ma Onna, Paganica, San Gregorio e alcuni squarci de L’Aquila viaggiano con me.
Ora so che la strada è giusta. Dovevo entrarci nell’inghiottitoio. Non credo di esserne uscita. Opi dei Marsi ha un fratello solo.

mercoledì 15 agosto 2012

Incipit


foto di Francesca Perlini


nel rito solitario, soglia del silenzio, la porta assemblata con assi malmesse, era aperta. non ebbi paura a varcarla, non c'era nessuno. erano le presenze a lasciarmi inquieta, non il vuoto, non l'assenza. erano spazi che preferivo lasciare vergini.
è vergine il vuoto?
di macchie sul pavimento ce n'erano quanto un labirinto da cui nessuno era più uscito. i piatti erano ancora sulla scrivania, tavola durante i pasti. indizi, se avessi voluto indovinare chi vi avesse abitato, nella casa nel bosco. oggetti, cose, nella vivida evidenza che avevo trovato casa.
portai al lago, lungo la passerella, a cui alla fine del braccio penzolava una corda, i piatti per lavarli. in casa non c'era acqua.
alla corda, non più annodata, una barca aveva dovuto portare al largo i pensieri di chi aveva remato in un'acqua calma e profonda come il buio della morte. vedevo la scia dei pianti, mescolati e dispersi, nei cerchi dei remi al tuffarsi nel lago. doveva averla amata. molto. la superficie era spaccata. i frammenti sparsi, schizzati fin dentro il bosco tutto attorno. era morta, di questo ne ero certa. come?
se non cercavo indizi, perchè continuavo a vederne?
lasciai a bagno, sulla sponda incastrati fra i sassi, i piatti. le croste erano così attaccate che sembravano cozze sugli scogli. ne comprerò di nuovi, quando scenderò al paese. non è bello mangiare sui resti degli altri.
alla stufa di ghisa in cucina mancava il tubo ed il camino in sala non sembrava godere di miglior vita. in paese, passando senza nessuna convinzione di fermarmi, avevo visto una bottega. ora non ricordavo quali fossero gli arnesi appoggiati al muro. in una bottega non c'è sempre un vecchio solo e malandato, che parla poco, scorbutico e che sa aggiustare ogni cosa rotta? il nuovo non è contemplato in chi ha riattaccato, un numero infinito di volte, i pezzi della propria vita, andandoli a cercare in altre botteghe, quando i propri non sono più buoni all'uso.  
dov'è il bagno? temo sia quel gran paziente del bosco.
dalla cucina si usciva sul retro della casa, da una porta a vetri. il grigio che entrava, una volta lavati, avrebbe fatto entrare gli umori del bosco. buon posto e luce giusta per scrivere. presi appunti.
delle tre sedie vicino al camino, solo una aveva tutte e quattro le gambe, delle altre due ne avrei fatta una, contando i pezzi mancanti. due sedie. me ne basta una. le altre le brucerò in autunno.
non mi accorsi subito che in sala c'era una porta. il bagno! eppure era sulla verticale della porta d'ingresso. come avevo potuto non vederla subito, entrando?
dovetti aprirla a spallate. sembrava avesse tutto il peso del mondo contro. la porta o io?
i cardini erano arrugginiti e quando riuscii ad aprirla quel tanto per passarci, vidi che era un grosso baule di legno ricoperto di tela, l'ostacolo all'apertura. non poteva essere il bagno. buio. pesto.
tornai in sala, nello zaino avevo l'accendino e le sigarette. ne accesi una prima di portare un poco di luce nella stanza di cui avevo perso interesse. tanto non era il bagno.
uscii e mi sedetti sugli scalini della veranda. la seconda sedia la metterò in veranda. magari la brucio questo inverno. dal fondovalle non arrivavano rumori. ogni suono che fosse stato di natura umana, mio compreso, era stato l'ultimo dei motivi a spingermi fin quassù, di una lista in cui le relazioni erano il principio.
pianterò delle ortensie. il resto del giardino sarà spontaneo. lascerò un passaggio per arrivare alla casa. pianterò solo ortensie. l'orto sarà sul retro. vicino alla cucina. 
il bagno. se non c'è, lo costruirò. il pensiero mi tranquillizzò e tornai alla porta in sala. ero di nuovo curiosa. per essere curiosi bisogna avere il cuore leggero, sgombro da ansie. soprattutto da mancanza da bagno.
la breve luce dell'accendino arrivò appena in tempo a posarsi su di un alto letto matrimoniale. lasciai la presa, il pollice bruciava e l'accendino cadde di nuovo nel buio. l'apparizione di lenzuola lasciate come se qualcuno si fosse appena alzato un'epoca fa, di soprassalto, scoprendosi solo, in un incubo che il sonno aveva cancellato, mi si conficcò nella gola e nello stomaco. uno sgomento feroce. lasciai di nuovo la stanza. per la seconda volta con la voglia di uscire fuori, alla luce, lontana da lì. 
cos'era successo in quel letto?


mercoledì 8 agosto 2012

Il parlamento in piazza



foto di Francesca Perlini


S'istituiva in piazza il parlamento del paese.
Ai quattro lati della fontana,
zampillanti gocce 
come lapislazzuli ignari del convivio, 
sedevano i vedovi di lungo corso
i ben pensanti
gli oratori della discordia 
e i disoccupati.
Di passaggio gli stranieri,
residenti con orizzonti diversi,
seguivano rotte
rese incomprensibili
dalla bussola rotta
del quieto vivere.