mercoledì 15 agosto 2012

Incipit


foto di Francesca Perlini


nel rito solitario, soglia del silenzio, la porta assemblata con assi malmesse, era aperta. non ebbi paura a varcarla, non c'era nessuno. erano le presenze a lasciarmi inquieta, non il vuoto, non l'assenza. erano spazi che preferivo lasciare vergini.
è vergine il vuoto?
di macchie sul pavimento ce n'erano quanto un labirinto da cui nessuno era più uscito. i piatti erano ancora sulla scrivania, tavola durante i pasti. indizi, se avessi voluto indovinare chi vi avesse abitato, nella casa nel bosco. oggetti, cose, nella vivida evidenza che avevo trovato casa.
portai al lago, lungo la passerella, a cui alla fine del braccio penzolava una corda, i piatti per lavarli. in casa non c'era acqua.
alla corda, non più annodata, una barca aveva dovuto portare al largo i pensieri di chi aveva remato in un'acqua calma e profonda come il buio della morte. vedevo la scia dei pianti, mescolati e dispersi, nei cerchi dei remi al tuffarsi nel lago. doveva averla amata. molto. la superficie era spaccata. i frammenti sparsi, schizzati fin dentro il bosco tutto attorno. era morta, di questo ne ero certa. come?
se non cercavo indizi, perchè continuavo a vederne?
lasciai a bagno, sulla sponda incastrati fra i sassi, i piatti. le croste erano così attaccate che sembravano cozze sugli scogli. ne comprerò di nuovi, quando scenderò al paese. non è bello mangiare sui resti degli altri.
alla stufa di ghisa in cucina mancava il tubo ed il camino in sala non sembrava godere di miglior vita. in paese, passando senza nessuna convinzione di fermarmi, avevo visto una bottega. ora non ricordavo quali fossero gli arnesi appoggiati al muro. in una bottega non c'è sempre un vecchio solo e malandato, che parla poco, scorbutico e che sa aggiustare ogni cosa rotta? il nuovo non è contemplato in chi ha riattaccato, un numero infinito di volte, i pezzi della propria vita, andandoli a cercare in altre botteghe, quando i propri non sono più buoni all'uso.  
dov'è il bagno? temo sia quel gran paziente del bosco.
dalla cucina si usciva sul retro della casa, da una porta a vetri. il grigio che entrava, una volta lavati, avrebbe fatto entrare gli umori del bosco. buon posto e luce giusta per scrivere. presi appunti.
delle tre sedie vicino al camino, solo una aveva tutte e quattro le gambe, delle altre due ne avrei fatta una, contando i pezzi mancanti. due sedie. me ne basta una. le altre le brucerò in autunno.
non mi accorsi subito che in sala c'era una porta. il bagno! eppure era sulla verticale della porta d'ingresso. come avevo potuto non vederla subito, entrando?
dovetti aprirla a spallate. sembrava avesse tutto il peso del mondo contro. la porta o io?
i cardini erano arrugginiti e quando riuscii ad aprirla quel tanto per passarci, vidi che era un grosso baule di legno ricoperto di tela, l'ostacolo all'apertura. non poteva essere il bagno. buio. pesto.
tornai in sala, nello zaino avevo l'accendino e le sigarette. ne accesi una prima di portare un poco di luce nella stanza di cui avevo perso interesse. tanto non era il bagno.
uscii e mi sedetti sugli scalini della veranda. la seconda sedia la metterò in veranda. magari la brucio questo inverno. dal fondovalle non arrivavano rumori. ogni suono che fosse stato di natura umana, mio compreso, era stato l'ultimo dei motivi a spingermi fin quassù, di una lista in cui le relazioni erano il principio.
pianterò delle ortensie. il resto del giardino sarà spontaneo. lascerò un passaggio per arrivare alla casa. pianterò solo ortensie. l'orto sarà sul retro. vicino alla cucina. 
il bagno. se non c'è, lo costruirò. il pensiero mi tranquillizzò e tornai alla porta in sala. ero di nuovo curiosa. per essere curiosi bisogna avere il cuore leggero, sgombro da ansie. soprattutto da mancanza da bagno.
la breve luce dell'accendino arrivò appena in tempo a posarsi su di un alto letto matrimoniale. lasciai la presa, il pollice bruciava e l'accendino cadde di nuovo nel buio. l'apparizione di lenzuola lasciate come se qualcuno si fosse appena alzato un'epoca fa, di soprassalto, scoprendosi solo, in un incubo che il sonno aveva cancellato, mi si conficcò nella gola e nello stomaco. uno sgomento feroce. lasciai di nuovo la stanza. per la seconda volta con la voglia di uscire fuori, alla luce, lontana da lì. 
cos'era successo in quel letto?


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