mercoledì 19 ottobre 2011

Montedoro



Montedoro (foto di Francesca Perlini)




Dell'umana ricerca, Montedoro si fa sentinella e protettore.
Percorro la strada della Bruciata, che per le cartine è la strada provinciale 19  nel comune di Monterado.
Il fiume Cesano scorre alla mia sinistra, lo riconosco, non lo vedo. La pianura appiana e nega allo sguardo il paesaggio. Son gli indizi di salici e di pioppi in fila, che mi raccontano di una terra bagnata lungo una linea. Non può che essere un fiume. 
Le case son poche, ristrette nella poca terra che resta tra il mare ed il fiume, e la collina subito ripida. 
Sì, perchè il Cesano è quasi prossimo all'incontro finale col sale, che disperderà quell'acqua che nella fantasia di bambina posso bere, in un acqua che lascia di scorrere e si fa onda. 
Il mare Adriatico. Mare che mi chiama ad ogni onda che s'infrange, perchè non resta per sempre e non se ne va per sempre, ogni volta muore per ritrovar nel rovescio dell'inquietudine la forza di risorgere e ripartire. Adria è uno dei miei nomi. Nome che mi è stato offerto, quando uno solo non poteva essere sufficente per chiamarmi. Ci volevan tutti i rami dell'uomo e della donna che si son incontrati per nominare il frutto nuovo e sconosciuto del loro amore. Ad Adria è dato il compito di chiamare il tormento e l'inquietudine. 
Mi sento a casa.
Tra il chilometro 24 e 25, la strada di Montedoro è segnata. Una quercia roverella, che chissà da quanti decenni sta a guardia della salita, accompagna e dichiara la natura di questa terra, la voce si fa forte dall'alto dei suoi anni e l'orecchio vigile la coglie: 
"Questa è stata terra di boschi, di ombre e di riposo, di silenzio e di acque che s'incontrano. Son stata scelta da mano umana, a sopravvivere, a ricordare. Io son Memoria".
La strada sale stretta. Salgo piano, non mi bastan gli occhi per guardare la stretta valle del fosso che porta lo stesso nome della collina, Montedoro. Sarà per la pendenza e per gli spazi angusti, che Memoria non è più sola. Lembi di selve, fitte e maestose, come solo le querce son capaci, mi rimettono in pace. Ricevo l'assoluzione dei miei peccati per appartenere alla stessa specie che ha negato, tagliato, soggiogato e deciso il destino della naturale vocazione di questa terra. Non più selva fino alla Germania, ma campi e oliveti. Pur belli e dispensatori di cibo, ma nati da una natura limitata, quella umana, che non sapendo cogliere la perfezione naturale, non può far altro che ridurla per comprenderla.
Una piccola chiesa, rurale per il luogo, è un invito a fermarmi e la sorpresa di trovare un campo per sagrato, è di quelli che desidero di più, perchè inaspettato.
Il silenzio e quasi il nulla son ambasciatori della terra che cede morbida sotto il poco peso dei miei piedi. Un altro invito, che vien dal basso, ad arrendermi, a lasciare quell'inquieto perchè di ogni cosa, che tormenta e mente alla verità delle leggi dell'universo. 
Arresa che è abbandono del mio nome e della mia storia, mi strugge quel morbido gratuito del momento che è stato solo duro nel corpo del mio passato, e qui, attorno ai miei piedi, la terra si fa materna, unguento per le ferite. 
Chiedo ai miei piedi di non tirarsi in dietro e di ricevere tutta la protezione di questo ammanto e di continuare a camminare fino alla cima di Montedoro, dove c'è una piccola croce di ferro, piantata come una spada, in una pietra che sembra intagliata in uno scoglio.
Montedoro con la sua sparuta altezza, guarda di fronte il mare, alla sua sinistra la valle del Cesano, popolata e industriata nel lavoro umano, e alla sua destra la piccola valle scavata dal suo fosso, solitaria e silenziosa.
L'energia di questo campo ha bisogno di pazienza per svelarsi. E' il tempo della poesia. 
Non sarà un caso, che nel mese di agosto si raccolgono a convitto, poeti e animi dediti all'ascolto, a declamare nel buio delle stelle la parola, simbolo e metafora della vita.
L'oro, l'incenso e la mirra son doni per chi è nato. Montedoro ne offre il quarto, la terra che genera la parola che si fa poesia. 
Del resto, questa è una storia di nomi, dove immagino Montedoro come il quarto Re Magio, scomparso dalle leggende per mettersi al riparo dall'abuso umano.
Giungere in questa terra non è stato facile, perchè ricevere il dono della parola che si fa poesia, ha richiesto l'umiltà di farmi uguale, non diversa. 
  
                                                                                                

1 commento:

  1. che belli questi luoghi!!!! spero di percorrere queste valli guidata dalla tua poesia insieme a te..... dove tu unisci terra e cielo , mare e fiume, colori e sapori, conscio e incoscio, passato e presente.... grazie Franci
    Patty

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